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martedì 29 dicembre 2015

Cenone di fine anno: idee alternative?

Non posso usare giri di parole, né imbrogliare. Lo spunto del post ha origine da un pezzo di Marcello Veneziani di qualche anno fa ("Il Capodanno? È come la corazzata Potemkin"). Illuminante e denso, come spessissimo accade nei suoi scritti.

Sì, concordo. Forse è ora di piantarla di farci del male. Di riproporre con gli abiti nuovi un apericena riscaldato che già si fa durante tutto il corso dell'anno.
Penso anch'io che il balletto di mezzanotte, i botti, gli AEIOUY col meo amigo Charlie Brown, i frizzi e lazzi, i vini indegni che si riversano inermi sul pavimento, dopo aver provato ribrezzo per i bicchieri di plastica o i finti calici usa-e-getta, hanno fatto il loro tempo.

Le lenticchie riscaldate e i cotechini di gomma che ingolfano stomaci già provati dalle maratone natalizie lasciamoli per altri periodi, per il 27 gennaio o il 12 febbraio, o anche il 30 novembre. Per un giorno normale, per una di quelle tante cene che si improvvisano nelle nostre abitazioni. Magari per quelle a cui non teniamo nemmeno tanto, sai gli amici dei figli, la promozione maldigerita del collega, una suocera invadente.

Ma la notte in cui simbolicamente si ha il passaggio tra un anno e l'altro, tra il passato vissuto, certo e definito e il futuro con sogni stellari o squallide ma agognate necessità, non la incoroniamo con un brindisi targato spumantino. Basta con bolle grosse come cocacola, che sopravvalutiamo spacciandole per champagne nazional-popolare, anzi di più.

Pensiamo a ciò che si è fatto, a cosa si poteva fare, a cosa progettare per il domani che fra un anno passerà. Passeggiamo in un bosco, viaggiamo in una strada di campagna, saliamo a bordo di un tram deserto.
Troviamo un senso, anche senza petardi.
Diamo un significato, senza farcirlo di crema al marscarpone.

Ps Ora scappo, voglio evitare le code dell'ultimo minuto, non vorrei restare senza lenticchie di castelluccio e salmone affumicato... Bon domilaesèdes!



giovedì 17 dicembre 2015

Chi ha ucciso il panettone?

Ai bordi delle strade, nei libri presi a rate. Dio è morto, cantava Guccini. 
Se la validità della provocazione vale sino ai giorni nostri, anche le analogie sono ammesse di diritto. 
La vittima? Il dolce milanese natalizio più famoso, venduto e consumato. Che abbia avuto origine da un errore di un panettiere di nome Toni, o piuttosto nasca dai cuochi della corte del duca Ludovico Sforza poco importa.
La sua gloriosa storia, la sontuosa grandezza, l'eleganza rustica, la diffusione ecumenica sia nelle tavole ricche che in quelle popolari dovrebbero bastare a garantire al panetun un trattamento di maggior rispetto. Invece no. Molti sono i casi di maltrattamento e violenza che può subire il re dei dolci (doppiamente) lievitati.

Il panettone muore negli hard discount, quando le offerte lo ridicolizzano e lo sviliscono, facendolo costare meno della baguette decongelata e appena sfornata.

Il panettone viene ucciso da ingredienti irrispettosi, da uova pallide, da mieli insulsi, da uvette flaccide e da aromi artificiali che scimmiottano lontanamente quelli originali.

Il panettone viene ammazzato da ricette frettolose, da pasticceri senza scrupoli, da bruciature inopportune, da croste amare, da impasti stopposi che offendono il prodotto, la storia e il palato.

Il panettone è assassinato a volte proprio dal Natale stesso (moderno e opulento), fatto di pranzi straripanti, pance gonfie e rinfreschi luculliani al termine dei quali il dolce in questione viene presentato e, per confronto, non può certo essere apprezzato al meglio.

Il panettone muore sotto l'effetto di creme pesanti che ne afflosciano la leggerezza, annegato in mascarponi che ne imbibiscono gli alveoli, imbastardito da ingredienti esotici e abbinamenti senza senso.

Il panettone è morto. 
Ma, per fortuna, ogni anno risorge
E possiamo di nuovo apprezzarlo. O ammazzarlo ancora.




mercoledì 28 ottobre 2015

Cosa ho capito dello street food: 5 capisaldi

Prima della ventata modaiola, a Milano comunemente  si consumavano in strada due cibi: la caldarroste e i panini. 
Quelli con i peperoni, la cipolla e la salamella, inondati da una salsa colorata a scelta. Prima delle partite a san Siro erano dei veri e propri must.
Ora ci sono gli arrosticini, il fish & chips, le piade e i panzerotti e chi più ne ha più ne metta. Si chiamano street food, si mangiano con le mani, si vendono nei baracchini ambulanti, si è soliti mangiarli passeggiando.
E’ un boom. Per questo ci ho voluto capire di più di questo fenomeno planetario che mette tutti d’accordo, gourmet e debosciati, religiosi e novizi, chef e ambulanti fricchettoni. 

Dopo aver partecipato e assaggiato allo “Street Food Parade” di domenica scorsa a Milano, ho inteso poche ma fondamentali cose.


Uno. “Street” fa rima con “fritt”. Dalle olive ascolane ai panzerotti pugliesi, dalle french fries alle panelle fino alle arancine (o arangine, o arancini) tutto viene immerso e trova nuova vita dopo un tuffo in un liquido color caramello, che bolle e - non dovrebbe accadere - a volte fuma. Olio. Non sempre la croccantezza è da manuale, né la conseguente leggerezza. Ma l’acquolina in bocca (il dott. Pavlov insegna) è garantita.


Due. Tanto fumo e tanto arrosto. Nel senso di piastre ustionanti, griglie, graticci arroventati da fiamme e braci, vapori e fumi che si diffondono inesorabili. Ciò che cade sopra questi ancestrali piani di cottura non sarà più lo stesso al termine dell’esperienza.
Il cibo si scalda, si colora, si scotta, si imbrunisce e a volte va anche oltre. E poi fuma, che nemmeno un treno a vapore di fine Ottocento.
Gli umori e i grassi delle pietanza, insieme all’amido disponibile, caramellizzano e si trasformano in qualcosa di misteriosamente, atavicamente irresistibile. Vedi a mo’ di esempio farinate, carni alla griglia, hamburger, piadine e via discorrendo.


Tre. Al dottore non far sapere cosa si mangia (in strada) dal rosticciere. Sì, perché è praticamente impossibile costituire un pasto di strada che non impenni colesterolo, pressione o trigliceridi. A cominciare dalle cotture, appena viste, che la fanno da padrone. E quindi alte temperature, qualche bruciatura, tanto sale, olio bollente, grassi e salse di accompagnamento. E, per i dolci, tanti zuccheri semplici che si celano dentro frittelle, bomboloni, cannoli e cassatine. Tutto buono, tutto potenzialmente a rischio coronarie.


Quattro. Mangia, prega, ama. Ovvero, dopo aver ingerito, ama chi ha preparato e prega che vada tutto bene dal punto di vista igienico. Ci sono baracchini ambulanti, strade affollate, contaminazioni incrociate tra il denaro manipolato, le strette di mano, i cartocci consegnati, gli utensili multiuso e il sudore che cola inesorabile dalla fronte di chi cucina, appiccicato ai fuochi. Tutto naif, tutto alla buona. Con la convinzione e la speranza che ciò che non ammazza, ingrassa.


Cinque. Pietanze dalle mille forme e sapori. Il numero delle proposte è ampio e potenzialmente in crescita. Cibi moderni tipo le spirali di patata fritte si affiancano, e contrastano, con quelli storici e tradizionali, dai panigacci al tortello alla lastra, dalle focacce sui testi al lampredotto fiorentino. Spesso il legame col territorio non è così netto, la provenienza degli ingredenti non è annodata a doppio filo ad una zona geografica come vorrebbe la tradizione, ma le rivisitazioni sono ben accette e le regole agricolo-commerciali non transigono. E comunque c’è davvero da sbizzarrirsi.

Concusioni. Come si dice(va) a Milano per indicare qualcosa che funzionava nonostante non lo si potesse spiegare alla perfezione, nonostante una particolare situazione non avesse tutti gli elementi favorevoli alla garanzia di successo, beh, se la va alura la g’ha i gamb. E visti i chilometri che macinano i furgonici ambulanti di città in città, altro che gambe!

martedì 5 novembre 2013

Da non perdere il "Golosario 2014", la mappa dei tesori golosi dello stivale

È giunto alla quindicesima edizione il Golosario, best seller di oltre 1.000 pagine che individua e racconta i giacimenti golosi dispersi lungo la penisola, i prodotti tipici, i volti e le storie di chi produce.

Tante le nuove scoperte di questa edizione che conta 1.420 produttori di qualità: birrifici, acetifici, torrefazioni, caseifici, salumifici, agricoltori, pasticceri, panettieri, apicoltori e tanti tanti altri. 
E poi ancora le 4000 Botteghe e Boutique del Gusto e le 2240 cantine segnalate coi propri vini top. Non mancano gli oltre 700 oleifici e i 630 ristoranti d'Italia nei quali merita fare una sosta.

Il Golosario è acquistabile in tutte le librerie d'Italia e online sul sito www.comunicaedizioni.it; è poi rintracciabile nelle app il golosario Negozi disponibile per iOS e Samsung, il Golosario Ristoranti e il Golosario Ricette, disponibili su App Store.

L'edizione 2014 debutterà a Golosaria Milano, rassegna di cultura e gusto, organizzata dal Club di Papillon, in programma al Superstudio Più di via Tortona 27 dal 16 al 18 novembre. Durante la manifestazione, domenica 17 novembre alle ore 15,30 saranno inoltre premiati i migliori artigiani del gusto del Golosario.

link Golosaria 2013