venerdì 11 marzo 2016

Un sogno a forma di cassoeula. Trattoria Corona a Buscate

La cassoeula di Angela e Bramino - Trattoria Corona, Buscate
L'animale che mi porto dentro mi rende schiavo delle mie passioni. Artistiche culturali succulente suine e selvagge.
Dell'oggetto ancestrale racchiuso nell'immagine a fianco.
Questo piatto è un'opera unica, frutto di storia, di impegno tramandato di mano in mano, di generazione in generazione.
La cassoeula della sciura Angela e del marito Bramino è un sogno che - speriamo il più tardi possibile - si dissolverà, perderà la consistenza soda delle parti meno nobili del maiale, quella morbida e saporita delle verze dalle foglie bicolore.

Nel piatto non sono contemplati i verzini, previsti solo su prenotazione, ma questa carenza a Sua Maestà il bottaggio alla milanese della trattoria Corona la si perdona con facilità.
Rimane ricca, abbondante, spessa nei suoi significati gastronomici ed esoterici.
I richiami del tempo che fu sono forti, contrastano con la televisione che trasmette Chelsea-PSG, e poi gli acciacchi di Bramino in perenne movimento con vini e bevande ai tavoli, Angela che sbuffa fiera dei suoi cinquantanni di matrimonio e di cucina.
Un esperienza di cuore, oltre che di gola.
Allora sotto, finché ce n'è.
Godere di questo sogno è il miglior modo per rendergli grazie, il miglior modo per tenerlo vivo.

Trattoria Corona
piazza Baracca 11
Buscate
0331 800374
Solo su prenotazione

giovedì 10 marzo 2016

La Fiorentina dove non te lo aspetti.


Da Martino, una pizzeria al trancio e non solo. 
Una rosticceria d'altri tempi. Un'osteria multiforme, microscopica, saporita. "Cibicotti da asporto", cotoletta davvero pregiata, ottima selezione enoica.

Una bomboniera stracolma, festante e sanguigna. 
Un pertugio dionisiaco meneghino, al confine con la Paolo Sarpi dagli occhi a mandorla.
ll fritto toscano con mozzarella e verdure è d’obbligo. Ancora di più la fiorentina, sia essa di fassona piemontese o di razza chianina.

Rimango estasiato e dubbioso. 
Non so se sia la qualità della materia prima, la sapiente cottura o la marcia in più che viene data dal forno a legna in cui cuoce la costata. Ma la T-bones di via Farini è davvero un gioiello.

Un diamante in un luogo che non ti aspetti.

Da Martino
Via Farini 8 - Milano
Tel: 02/6554974

mercoledì 10 febbraio 2016

La Puglia di base, oltre al negramaro e al salento patinato.

Nella viale Monza multicolor e multirazza, ecco la semplicità basilare e familiare. Saporita. Rustica senza essere grezza. 
Da quarant'anni sempre uguale a se stessa.
Che piaccia o no. Ecco la puglia (di una volta) che resiste al passare del tempo e delle mode. Panzerotto e orecchiette. Cime di rapa e bracioline. Lampascioni e burrata. E - il giovedi - la trippa e una purea di fave che è la sintesi tra la felicità del palato e la semplicità della preparazione.
Signore e signori avventori, vi presento la Giara. 

Osteria La Giara.
Viale Monza 10
Milano (MI)

Tel: 02.26.14.38.35
Chiusa martedi sera e mercoledi 

venerdì 5 febbraio 2016

Rifugio a due: Osteria del Riccio

Erano anni che ci giravo intorno. Leggevo, la seguivo, ne parlavo. Alla fine con qualche anno di ritardo ci sono arrivato.
Lento, slow. Come la filosofia che il locale si pone di portare avanti.
L'Osteria del Riccio è così, piccola semplice e gustosa. Fondata su due-colonne-due. Una in cucina (Luciana) e una in sala (Mario). Stop.
Questa intimità mi piace e caratterizza questa trattoria di tono.
Si sta bene, si assaggiano sapori lombardi, con qualche divagazione  fuori dal recinto regionale. Il flan di zucca è nella sua semplicità davvero monumentale. Buoni i casoncelli. Da applausi il raviolo aperto con pasta di salame e uvetta.
E poi ossobuco, cotoletta, risotto, tortino caldo al cioccolato e una deliziosa composta di arance a guarnire la pannacotta. Carta dei vini con rincari adeguati.
Avanti così!

Osteria del Riccio
Via Renzo del Riccio, 75,
Sesto San Giovanni MI
335 803 9452
https://www.facebook.com/Osteria-del-Riccio
http://www.osteriadelriccio.it/

giovedì 21 gennaio 2016

Carnaroli e natura si autoesaltano nella Riserva San Massimo

Uno slogan del passato recitava, più o meno, che dalla buona terra nascono solo buoni frutti.
C'è del vero? Oppure sono è solo un motto etereo e pubblicitario?
 La naturalità della terra è difficilmente riscontrabile, la chimica non si vede, le lavorazioni post coltivazione non sono tutte alla luce del sole, le certificazioni spesso non danno speciali garanzie.

Eppure sono disposto a giurare il contrario. Me ne assumo l'onere. Perchè non è possibile che famiglie di daini e caprioli vivano tranquillamente in un ambiente deturpato e antinaturale, soprattutto se questo è localizzato a meno di quaranta km da Milano. E non sono solo sereni, ma si riproducono in maniera esponenziale, fanno bella mostra nel sottobosco di Ontani anche in pieno giorno. Loro che, come gli altri ungulati, sono animali notturni.

Dino Massignani non è il gestore di questo piccolo paradiso immerso nel Ticino pavese. Non è il contadino che trae nutrimento da queste terre. E non è il patron che amministra un incantevole lembo di verde, acqua, risorgive, fagiani, libellule e sottobosco fiorito.

E' il buon padre della Riserva San Massimo, con la testa in cielo e i piedi immersi dentro un territorio incontaminato.
E' il deus ex machina, che ha sognato e messo in atto la produzione di un autentico riso carnaroli all'interno dell'oasi, riuscendo ad ottenere sinergie naturali favolose.
Fauna, flora e produzione agricola si auto innescano, sviluppano, differenziano. Dino lavora, difende, vigila e riequilibra, quando e se è necessario.
Ottiene, dopo un ciclo vegetativo di sei mesi, la miglior varietà di riso, un chicco avorio, sodo, saporito, tenace, che fa onore ai migliori risotti. Chef stellati e non hanno iniziato a conoscerlo.

Il miglior modo per ringraziare Massignani è quello di assaggiare il suo gioiello.
Una volta fatto non si torna indietro.


Riserva San Massimo
http://riservasanmassimo.net/
Tel. 0382817239



martedì 29 dicembre 2015

Cenone di fine anno: idee alternative?

Non posso usare giri di parole, né imbrogliare. Lo spunto del post ha origine da un pezzo di Marcello Veneziani di qualche anno fa ("Il Capodanno? È come la corazzata Potemkin"). Illuminante e denso, come spessissimo accade nei suoi scritti.

Sì, concordo. Forse è ora di piantarla di farci del male. Di riproporre con gli abiti nuovi un apericena riscaldato che già si fa durante tutto il corso dell'anno.
Penso anch'io che il balletto di mezzanotte, i botti, gli AEIOUY col meo amigo Charlie Brown, i frizzi e lazzi, i vini indegni che si riversano inermi sul pavimento, dopo aver provato ribrezzo per i bicchieri di plastica o i finti calici usa-e-getta, hanno fatto il loro tempo.

Le lenticchie riscaldate e i cotechini di gomma che ingolfano stomaci già provati dalle maratone natalizie lasciamoli per altri periodi, per il 27 gennaio o il 12 febbraio, o anche il 30 novembre. Per un giorno normale, per una di quelle tante cene che si improvvisano nelle nostre abitazioni. Magari per quelle a cui non teniamo nemmeno tanto, sai gli amici dei figli, la promozione maldigerita del collega, una suocera invadente.

Ma la notte in cui simbolicamente si ha il passaggio tra un anno e l'altro, tra il passato vissuto, certo e definito e il futuro con sogni stellari o squallide ma agognate necessità, non la incoroniamo con un brindisi targato spumantino. Basta con bolle grosse come cocacola, che sopravvalutiamo spacciandole per champagne nazional-popolare, anzi di più.

Pensiamo a ciò che si è fatto, a cosa si poteva fare, a cosa progettare per il domani che fra un anno passerà. Passeggiamo in un bosco, viaggiamo in una strada di campagna, saliamo a bordo di un tram deserto.
Troviamo un senso, anche senza petardi.
Diamo un significato, senza farcirlo di crema al marscarpone.

Ps Ora scappo, voglio evitare le code dell'ultimo minuto, non vorrei restare senza lenticchie di castelluccio e salmone affumicato... Bon domilaesèdes!



giovedì 17 dicembre 2015

Chi ha ucciso il panettone?

Ai bordi delle strade, nei libri presi a rate. Dio è morto, cantava Guccini. 
Se la validità della provocazione vale sino ai giorni nostri, anche le analogie sono ammesse di diritto. 
La vittima? Il dolce milanese natalizio più famoso, venduto e consumato. Che abbia avuto origine da un errore di un panettiere di nome Toni, o piuttosto nasca dai cuochi della corte del duca Ludovico Sforza poco importa.
La sua gloriosa storia, la sontuosa grandezza, l'eleganza rustica, la diffusione ecumenica sia nelle tavole ricche che in quelle popolari dovrebbero bastare a garantire al panetun un trattamento di maggior rispetto. Invece no. Molti sono i casi di maltrattamento e violenza che può subire il re dei dolci (doppiamente) lievitati.

Il panettone muore negli hard discount, quando le offerte lo ridicolizzano e lo sviliscono, facendolo costare meno della baguette decongelata e appena sfornata.

Il panettone viene ucciso da ingredienti irrispettosi, da uova pallide, da mieli insulsi, da uvette flaccide e da aromi artificiali che scimmiottano lontanamente quelli originali.

Il panettone viene ammazzato da ricette frettolose, da pasticceri senza scrupoli, da bruciature inopportune, da croste amare, da impasti stopposi che offendono il prodotto, la storia e il palato.

Il panettone è assassinato a volte proprio dal Natale stesso (moderno e opulento), fatto di pranzi straripanti, pance gonfie e rinfreschi luculliani al termine dei quali il dolce in questione viene presentato e, per confronto, non può certo essere apprezzato al meglio.

Il panettone muore sotto l'effetto di creme pesanti che ne afflosciano la leggerezza, annegato in mascarponi che ne imbibiscono gli alveoli, imbastardito da ingredienti esotici e abbinamenti senza senso.

Il panettone è morto. 
Ma, per fortuna, ogni anno risorge
E possiamo di nuovo apprezzarlo. O ammazzarlo ancora.




martedì 15 dicembre 2015

lunedì 14 dicembre 2015

La Coppa (oltrepadana) che anima i sensi

L'Oltrepo è un enorme triangolo di frontiera. La base ha origine dalla fertile pianura, dal Po e dal Ticino lombardo. E poi sale piano piano, cingendosi i fianchi e incuneandosi tra Piemonte ed Emilia.

Rotolando verso Sud, lo sbocco al mare, brezze rivierasche che dissolvono le stagnanti nebbie padane. Il prodotto di punta di questo lembo di appennino è il salame crudo, Varzi ne è la capitale.

Ma in realtà volevo raccontare un'altra storia. Che non ha a che fare con l'insaccato suino realizzato sin dai tempi dei Longobardi. Bensì ha come fulcro il salume intero, crudo, che proviene dal collo del maiale.
Le valli appenniniche piacentine hanno la fama di essere le migliori produttrici di coppa.
Ma quella del salumificio Matti, che la realizza a Romagnese (PV), non ha niente da invidiare. E' sapida, dolce, carnosa, tenacemente morbida, mai asciutta e secca, nemmeno salata. Riempie il palato, fetta dopo fetta, tagliata al coltello.

Anche a media stagionatura (almeno sei mesi) regala grandi soddisfazioni da affondare sopra delle fettone di pane, meglio con poco sale, magari tiepide.
Esplode la felicità che solo le piccole grandi opere sanno dare. E questa rientra a pieno nella cerchia eletta.



Salumificio Matti
http://www.mattipersalumieformaggi.it/

venerdì 4 dicembre 2015

Che sorpresa lo "Spazio Milano" degli allievi di Niko Romito

Quando l'allievo supera il maestro. O meglio quando gli allievi riescono a dare un senso agli insegnamenti, a farli propri, a riprodurli e svilupparli, dando un compimento alla propria opera. Che riesce così a brillare di luce propria, anche senza l'illuminazione diretta del proprio mentore.

Gli elementi per la riuscita dell'impresa ci sono tutti: un sapiente design della sala, una bella location, centralissima, vista Duomo, anzi di più, lì ad un passo dall'accarezzare il marmo rosa di Candoglia. Lo Spazio Milano, scuola di formazione del tristellato Niko Romito, è lineare e pulito, nelle forme, nei rapporti, nei sapori.


Tutto sembra semplice e bello, semplice e piacevole, semplice ed accattivante. Lo stesso personale incarna questa vocazione, riuscendo a lasciar intravedere la professionalità, stemperandola con una serenità leggera.

Leggera come l'anima dei tortelli con ricotta di bufala, serviti in acqua di pomodoro e fiore di capperi e cucunci, in cui le materie prime bussano al palato con una delicatissima decisione. O quella del pane dalla sontuosa alveolatura, o dell'olio proposto come intermezzo tra un piatto e l'altro.

Poi arriva un filetto di maiale, tiepido, rosa, suadente, incorniciato da un trito da olive capperi pomodori e salsa di mandorla. Piacere puro.
Per accostamento, mandorla anche nel dessert, poco (forse troppo) dolce: morbida e cremosa, abbinata ad un gel di limone e alla frolla salata.

Meno male che sono solo allievi, irrinunciabile la loro promozione a pieni voti.


Spazio Milano
Piazza Duomo
Milano
tel: +39.02.878400
Aperto tutti i giorni
ww.nikoromitoformazione.it/


mercoledì 11 novembre 2015

Sorbillo al Duomo: le mie 10 perplessità

Non c'è nulla da stroncare o da esaltare. Ma solo diffondere una notizia che ritengo di pubblico interesse.
Sorbillo, il re della pizza napoletana, ritratto con le sue creazioni benedette dal Pontefice, piuttosto che con il trio Cracco-Barbieri-Bastianich, sbarcato a Milano alle spalle della madonnina non mi ha convinto. Mi dispiace.
Sarà stata l'aria, l'acqua, la jella, il buco nell'ozono, chissà, ma il disco di farina con pomidori e fiordilatte non ha fatto innamorare il mio palato. In generale, dopo lo scorso sabato mezzogiorno, non mi viene molta voglia di ritornarci. Senza rancore.

I motivi? Eccoli:
1) il locale è bruttino, sciatto, anonimo, buio
2) le divise del personale brulicante i tavolini appiccicati l'un l'altro, sono degne di una soap opera italoamericana trasmessa su qualche rete minore
3) il bagno maschile, l'unico per i entrambi i piani, aveva la serratura rotta e chiudendola si rimaneva bloccati dentro
4) la birra arrivata era tiepida; la pizza era invece calda, ma si è raffreddata in un nanosecondo, perdendo totalmente la fragranza
5) la farcitura era adeguata, saporita, anche se il pomodoro non disdegnava di avere una bella nota acida
6) il cornicione era presente e fiero, ma nessun segno intrigante (bolle d'aria) di una bella lievitazione
7) la consistenza era elastica, molto, direi gommosa, troppo gommosa
8) i tranci avanzati dai bambini non sono riuscito a finirli (evento più unico che raro)
9) la digestione è stata piuttosto lenta
10) 0,45 litri di acqua minerale sono costati 2,50 €; il che significa che un litro di acqua frizzante costa 5 euri e 55 centesimi: un po' troppo direi.
La pizza è come la religione, dice un collega campano: ognuno ha la sua.

Quella di Sorbillo non ha affatto contribuito alla mia conversione.


Gino Sorbillo - Lievito Madre al Duomo
Largo Corsia dei Servi, 11
Milano




mercoledì 28 ottobre 2015

Cosa ho capito dello street food: 5 capisaldi

Prima della ventata modaiola, a Milano comunemente  si consumavano in strada due cibi: la caldarroste e i panini. 
Quelli con i peperoni, la cipolla e la salamella, inondati da una salsa colorata a scelta. Prima delle partite a san Siro erano dei veri e propri must.
Ora ci sono gli arrosticini, il fish & chips, le piade e i panzerotti e chi più ne ha più ne metta. Si chiamano street food, si mangiano con le mani, si vendono nei baracchini ambulanti, si è soliti mangiarli passeggiando.
E’ un boom. Per questo ci ho voluto capire di più di questo fenomeno planetario che mette tutti d’accordo, gourmet e debosciati, religiosi e novizi, chef e ambulanti fricchettoni. 

Dopo aver partecipato e assaggiato allo “Street Food Parade” di domenica scorsa a Milano, ho inteso poche ma fondamentali cose.


Uno. “Street” fa rima con “fritt”. Dalle olive ascolane ai panzerotti pugliesi, dalle french fries alle panelle fino alle arancine (o arangine, o arancini) tutto viene immerso e trova nuova vita dopo un tuffo in un liquido color caramello, che bolle e - non dovrebbe accadere - a volte fuma. Olio. Non sempre la croccantezza è da manuale, né la conseguente leggerezza. Ma l’acquolina in bocca (il dott. Pavlov insegna) è garantita.


Due. Tanto fumo e tanto arrosto. Nel senso di piastre ustionanti, griglie, graticci arroventati da fiamme e braci, vapori e fumi che si diffondono inesorabili. Ciò che cade sopra questi ancestrali piani di cottura non sarà più lo stesso al termine dell’esperienza.
Il cibo si scalda, si colora, si scotta, si imbrunisce e a volte va anche oltre. E poi fuma, che nemmeno un treno a vapore di fine Ottocento.
Gli umori e i grassi delle pietanza, insieme all’amido disponibile, caramellizzano e si trasformano in qualcosa di misteriosamente, atavicamente irresistibile. Vedi a mo’ di esempio farinate, carni alla griglia, hamburger, piadine e via discorrendo.


Tre. Al dottore non far sapere cosa si mangia (in strada) dal rosticciere. Sì, perché è praticamente impossibile costituire un pasto di strada che non impenni colesterolo, pressione o trigliceridi. A cominciare dalle cotture, appena viste, che la fanno da padrone. E quindi alte temperature, qualche bruciatura, tanto sale, olio bollente, grassi e salse di accompagnamento. E, per i dolci, tanti zuccheri semplici che si celano dentro frittelle, bomboloni, cannoli e cassatine. Tutto buono, tutto potenzialmente a rischio coronarie.


Quattro. Mangia, prega, ama. Ovvero, dopo aver ingerito, ama chi ha preparato e prega che vada tutto bene dal punto di vista igienico. Ci sono baracchini ambulanti, strade affollate, contaminazioni incrociate tra il denaro manipolato, le strette di mano, i cartocci consegnati, gli utensili multiuso e il sudore che cola inesorabile dalla fronte di chi cucina, appiccicato ai fuochi. Tutto naif, tutto alla buona. Con la convinzione e la speranza che ciò che non ammazza, ingrassa.


Cinque. Pietanze dalle mille forme e sapori. Il numero delle proposte è ampio e potenzialmente in crescita. Cibi moderni tipo le spirali di patata fritte si affiancano, e contrastano, con quelli storici e tradizionali, dai panigacci al tortello alla lastra, dalle focacce sui testi al lampredotto fiorentino. Spesso il legame col territorio non è così netto, la provenienza degli ingredenti non è annodata a doppio filo ad una zona geografica come vorrebbe la tradizione, ma le rivisitazioni sono ben accette e le regole agricolo-commerciali non transigono. E comunque c’è davvero da sbizzarrirsi.

Concusioni. Come si dice(va) a Milano per indicare qualcosa che funzionava nonostante non lo si potesse spiegare alla perfezione, nonostante una particolare situazione non avesse tutti gli elementi favorevoli alla garanzia di successo, beh, se la va alura la g’ha i gamb. E visti i chilometri che macinano i furgonici ambulanti di città in città, altro che gambe!

venerdì 7 agosto 2015

Calabria saporita e silenziosa, da Dongiò

La Calabria gastronomica non la pensavo così. Più rustica, più piccante e aspirata nelle intonazioni del personale.

E invece Dongiò ha ritmi milanesizzanti che fanno percorrere chilometri agli addetti ai tavoli, e accenti ambrosiani che è assai raro trovare in un verace locale meneghino.

Deluso? Affatto. Un'insolita situazione, un ambiente carico di densità umana (mi riferisco alla vicinanza tra i tavoli, che si susseguono quasi senza soluzione di continuità). Una contaminazione equilibrata, che ha prodotto uno spaghettone di semola fresco che-così-non-ho-mai-mangiato.

Prima le polettine di cicoria eppoi le paste, una più invitante dell'altra. Tagliatelle pancetta rucola e ricotta, maccheroncini pomodoro prezzemolo e provolone calabrese, spaghettoni semi di finocchietto cipolla sedano e salame d'oca. Una bomba. Quasi come le cupolette di torta caprese rinfrescata da scorze e composta di limone.

Il locale è sempre pieno. E si intuisce facilmente il perchè.

Dongiò
Via Bernardino Corio 3
Milano
Tel. 02 5511372



lunedì 3 agosto 2015

Panna che ammanta e annebbia - Caffè Ranieri (Milano)

Tra mimi muti e immobili, venditori di fiabe africane e palazzi dalla rassicurante bellezza classica c'è anche una piccola e buona pasticceria nel centro della città, vicino alla commerciale via Dante, il teatro Dal Verme e il napoleonico Foro Bonaparte. 
Ecco praline, baci di Cherasco, frolle e dolci alla crema. 
Ma un gradino sopra tutto è il caffè. 
Addizionato, o meglio, sovrastato da grassa e consistente panna montata. Copre, addolcisce, annebbia, arrotonda. 
Un sac à poche, un cameriere fuori dagli schemi e il gioco è fatto. Tazzina servita.
Una bendidio da mangiare con gli occhi e da affogare in un animo sereno. 


Via San Giovanni sul Muro, 4
20121 Milano

lunedì 27 luglio 2015

Un'estate, un sorso, una verdea di San Colombano.

Tutto d'un tratto si svela. Come un improvviso arcobaleno che colora nubi plumbee, un sorriso sincero che sboccia al termine di un concitato litigio.

La collina di San Colombano è così: invisibile sino a quando non ci sei sotto, o forse dentro. In mezzo a un piano infinito, dove un milanese può perdersi e pirlare errante senza punti di riferimento, cartelli stradali, fabbrichette o grattacieli. E a interrompere, una dolce altura e i filari di vite ben allineati. E poi un castello, mattoni rossi, ciottoli e simboli sforzeschi.

Una manciata di cantine da secoli disseta con il suo succo d'uva le tavole storiche di Milano. Il santo che ha evangelizzato e dato il nome alla collina, ha insegnato ad allevare la vite. E ha portato anche un vitigno da terre lontane, oggi si chiama Verdea.

La Cantina Pietrasanta la vinifica, insieme ad un pizzico di Riesling. E ne ottiene un vino che non è da assaggiare con timore, centellinando per cogliere le svariate complessità aromatiche, le sfumature, i retrogusti e via discorrendo.
Questo è un vino da bere. Fresco, molto fresco. Con la bottiglia imperlata di goccioline di condensa, simili a quelle sudate da chi sta aspettando di portarlo alla bocca.
In questa calda (calda) estate ecco una piccola, semplice, gentile, lombarda e rinfrescante sorpresa enoica.

www.cantinepietrasanta.it


venerdì 26 giugno 2015

Alla scoperta del "ruoto"

L'invenzione risale a sette millenni or sono. Dovremmo conoscerne ogni segreto e non stupirci più della sua esistenza. In effetti, la sua versione classica, coniugata al femminile non desta oramai scalpore.
E' la variante al maschile che non abbiamo conosciuto, testato, assaporato. Ecco signori: il ruoto.

Nel bel mezzo del cammin della mia vita l'ho incontrato e addentato.
Da Eatary, una sofisticata pizzeria napoletana nei pressi di quel corso Vercelli così chic.
Emerge fiero il legno, il nero lavagna e l'acciaio, in un grande spazio, che però non corre il rischio di ricordare la palestra delle scuole elementari.
Sullo sfondo due cupole, due forni che partoriscono pizze e, udite udite, sua maestà il ruoto.
Un circolo irregolare, ricorda una "c" i cui estremi, uniti, si stanno amando con passione. Pieno e cicciotto, ben dorato fuori, esplosivo dentro con scarola provola e olive. Impegnativo, intenso, mascolino.
Una novità antica, risale alla Napoli della fine Ottocento. Se il vecchio che ritorna è questo, beh, prego. Avanti, c'è posto.

Eatary
http://www.eatery.it
Via G.B. Soresina 4
Milano
02.4810.0806

lunedì 22 giugno 2015

C'è dell'oro (balsamico) infilato dentro una bottiglia


Perchè il vino è così affascinante? Forse per i suoi mille significati, per il caleodiscopio di profumi, per l'effetto inebriante.

Non dimentichiamo che il vino viene da Dio (questo sosteneva Martin Lutero, mentre "la birra la fanno gli uomini") e che è sempre stato una merce pregiata e ricercata.

Capita a volte di incontrare una stella, ma non nel firmamento, bensì nel bicchiere. Splendente e profonda, attraente e inebriante. Mi è accaduto di venire a contatto con un diamante in forma liquida, un oro colato, brillante, intenso e lucente. Veniva dal Sud Tirolo, da Termeno, dove si alleva il vitigno (quasi) omonimo.

Traminer aromatico, balsamicamente sale nel naso rivelando forza e suadenza. In bocca solletica le papille gustative più annoiate, risveglia sensazioni lontane, calde e aromatiche e piene e gustose. Frutta secca, un po' di tabacco, emozioni idroalcoliche. Stupendo.
Traminer Roen, vendemmia tardiva.
Esperienza indimenticabile.


Cantina Tramin
Strada del Vino 144 - Weinstrasse 144, 39044 Termeno, Italia
www.cantinatramin.it

lunedì 8 giugno 2015

Come ti stravolgo (e ti delizio con) il kebab alla milanese


Anche in tavola le mode non si contano. Dal pesce crudo, alla cucina giappo, passando per il lievito madre, i macarons e il cake design. Senza dimenticare l'hamburger gourmet fino ad arrivare a lui, il re dello street food etnico, il principe della fusione dei sapori dall'Anatolia al Magreb, il sovrano delle unte e goderecce notti cittadine: sua maestà il kebap.
Tendenze a parte, i kebabbari spuntano come funghi ad ogni angolo, contendendo spazi commerciali e sapori agli indiscussi migranti del gusto con gli occhi a mandorla.
Ogni baracchino ha il suo stile, ogni spiedo ha le sue caratteristiche specifiche, anche se la maggior parte si omologano per tipologia e sapori offerti.

Un paio di gradini sopra tutti? il kebabbaro gourmet di via Sabotino. Di kebab ha forse poco, forse solo il nome. Visto che il localino nei pressi di Porta Romana è trendy, molto milanese, lindo e pulito, ben organizzato, con tanto di trasmittenti al tavolo per comunicare l'uscita della propria comanda.
Ma soprattutto l'offerta è veramente innovativa: quattro tipi di buon pane, tra cui una succulenta puccia salentina. Poi la carne (italiana) di vitello o pollo. E infine una varietà infinita di ottime farciture. Come lardo suino, salsa al pistacchio, friarielli, crema guacamole, salsa verde o peperonata. 
Uno più sfizioso dell'altro. Ognuno con il suo stile, il suo perchè. Controtendenza, verso l'alto (livello). 
Altro che mode!







Mariù - kebabberia gastronomica
Viale Sabotino, 9
20135 Milano 
Tel: +39 0258433013
http://www.mariukebab.it/it/



giovedì 21 maggio 2015

Slow Food dentro o fuori Expo?

Slow Food di lotta e di governo. Sta coi poveri ma corteggia i ricchi. Tuona contro il commercio globale, ma senza di questo il violino di capra valchiavennasco (piuttosto che il provolone del monaco o il fagiolo di Lamon) non può essere consumato a Londra o San Francisco.
Carlin con una mano getta il sasso ma poi ritrae subito l'arto. E' furbo e lo sa. La battaglia a favore del cibo di qualità, del buono-sano-giusto, delle eccellenze, del diritto al gusto NON è un'esigenza popolare, non è una priorità per esodati, migranti e disoccupati. 
Lo è per il sottoscritto, per la buona borghesia, per i colti e benestanti con medioalta capacità di spesa. La battaglia verso la qualità non è rivoluzionaria ma liberal-conservator-illuminata.
Slow Food, come consiglia Visentin (http://mangiare.milano.corriere.it/2015/05/21/loccasione-di-slow-food/), dia una mano, con idee, progetti, spunti per dare spessore culturale, etico e gastronomico all'esposizione universale.
I paladini del gusto si decidano: propongano ora o tacciano per tutta l'Expo.

lunedì 18 maggio 2015

Expo, coriandoli in faccia

Capita che a volte la prima impressione sia quella che conta. Ma succede anche il contrario.
Che quando si entra in un party di carnevale, prima ancora dell'atmosfera gioiosa, delle chiacchiere, dei sorrisi, delle trombette stonate, prima di tutto arrivino i coriandoli. Sul viso, negli occhi, in bocca.
Ad oscurare momentaneamente, a soffocare la capacità di analisi ampia e profonda.

I coriandoli che mi sono arrivati in faccia, alla mia prima visita (serale) dell'Esposizione Universale sono fatti di luci accattivanti, colori pennellati, percorsi oceanici, padiglioni luccicanti, umanità traboccante.
E poi ancora: piedi doloranti, spazi da riempire, installazioni artistiche, armonia delle forme, clichè consumati, marchi imperanti.
Flussi di gente, di tematiche, di strade ma non di sapori. Scorre l'acqua microfiltrata dalla fontanelle pubbliche, si alternano diverse visioni sul cibo, cluster, temi ma non si sentono i profumi. Immaginavo (un po' per golosità e un po' per aderenza al tema) un fiorire di piatti multiforme, pietanze fantasmagoriche, delizie lontane e sapori perduti, profumi di spezie, di cucine, di porzioni sfornate da baracchini chic.

Invece nulla di tutto questo. Li troversò forse alla prossima visita. Diurna.
Dimenticavo: l'impressione che il mondo una volta tanto passi dalle nostre parti e non ci guardi dall'alto in basso, beh quella c'è.
Ed è una lieta e rara sensazione.


www.expo2015.org/ 





mercoledì 13 maggio 2015

Napoli succulenta, senza scherzi (o quasi). A Milano.

Letta la recensione del vate indiscusso della cronaca gastronomica milanese (http://vivimilano.corriere.it/ristoranti/frijenno-magnanno) e dopo consiglio del collega che conosce la zona - per professione - e i sapori - per identità geografica - voglio provare l'esperienza culinariopartenopea di via Benedetto Marcello (frijennomagnanno.it).

Ben disposto dalla previsione mentale dei sentori che avrei annusato e dalla veracità dell'impronta umana, vado, entro, mi siedo (in un bel tavolo rotondo con sedie deliziosamente scompagnate), guardo (ambiente moderno e colorato, tutt'altro che pacchiano), assaggio, gusto, verifico.

Non so se questa sia vera cucina napoletana, non sono certo che qui si interpreti alla perfezione la tradizione dalla città del Vesuvio. Però, per essere a Milano, direi che ci siamo, abbastanza.

E allora vada per gli appetitosi fritti, il pesce in carpione, i paccheri alla carbonara di pesce, gli scialatielli con granchio e con tanto mare attorno e anche con i pomodorini, il cui sapore ancor mi inebria (inebriarsi per i pomodorini? Sì, perchè è raro farlo, quasi impossibile; e proprio per questo la gioia è più intensa, in quanto inaspettata).

Peccato che alla fine arriva una pastiera dall'aspetto regale e sontuoso. Ma con un aroma di fiori di arancio troppo intenso per essere vero e piacevole.
Anche per Napoli, e per i suoi contraddittori e agrodolci eccessi.









www.frijennomagnanno.it
Via Benedetto Marcello, 93
20124 Milano
Tel 02 29403654

lunedì 20 aprile 2015

Uguale a se stessa, trattoria Pace (Milano)

Come in un film che ha il Sapore di Sale, o in un albergo di fine anni settanta, con i titolari che lasciano la reception e vengono servire ai tavoli all'ora di cena, con i clienti habitué sempre uguali alle loro caricature, con il cameriere cinquantenne che riesce riferire a memoria tutto lo sterminato menu di matrice toscaneggiante. 
Un clima e una dedizione quasi perduta. 
Un sapore di leggerezza e malinconia di un tempo che fu.
Non a tutti può piacere. 
Ma è un tassello vintage che spicca nel mosaico multicolore meneghino.

Pace
Via Giorgio Washington, 74
Milano

Telefono 02468567


martedì 31 marzo 2015

Ma che Paris, semm a Milàn: Pastis

Per un bistrò, stile francese non occorre varcare le Alpi.
Bisogna guardare ad Oriente.
Verso piazzale Susa e varcare con l'immaginazione l'Adda, le Orobie e piombare nei verdi alpeggi dell'Alto Garda.
Come può stare insieme tutto questo?

Leggete qui:

http://www.ilgolosario.it/assaggi-e-news/ristoranti/milano-pastis

martedì 3 marzo 2015

Vive nell'acqua, risorge nel vino buono: ecco l'Autentico Carnaroli

Sarà l'ebbrezza del trentanovesimo piano del Palazzo Lombardia, l'ascensore supersonico, le vetrate enormi che fanno entrare brandelli di città, lo stadio, Linate, le stazioni e i tetti disarmonici milanesi direttamente dentro il mio sguardo stupefatto.

Forse l'effetto vertigine dei centocinquanta metri di altezza, oppure del calice di Franciacorta Brut di Faccoli (che, per inciso, è uno dei mille vini lombardi presenti al prossimo Vinitaly di Verona, nel Padiglione Lombardia dedicato per la prima volta al "maestro" Luigi Veronelli; un campione di etichette che darà lustro all'enologia di una regione che non è solo fabbriche e infrastrutture, ma sa ancora essere acqua e agricoltura, schiene curve e terrazze eroiche; una terra da mangiare e da bere, da vivere e da far conosce - anche all'estero, visto l'apprezzamento confermato da un export vinicolo in continua crescita, sopra il dato nazionale).
Bollicine quelle di Faccoli non immediate, ma che quando iniziano ad essere capite per la loro reale essenza, definita, originale e marcata, senza compromettere un'armonia complessiva, si lasciano proprio amare. A tal punto che non si può fare a meno di riprovare, in un secondo calice, l'effervescente e intrigante esperienza enoica.

Sarà l'accostamento a due sovrani made in Lombardia, il gorgonzola e la pera (mantovana), la cui unione salda e fondente ha un'impatto regale e prorompente con qualunque accompagnatore.
Ma l'essenza c'è. Il carnaroli della Riserva San Massimo - anzi l'Autentico Carnaroli e non le varietà similari che possono comunque essere vendute con lo stesso nome - è un grande chicco. 
Il suo valore aggiunto? Il contorno, il contesto, l'ambiente dove viene pensato, dove nasce e dove viene lavorato. E' territorio del Ticino pavese, sotto la tutela dell'Ente Parco. Sono seicento ettari di riserva, di cui cento occupati da risaie, attorniati da boschi, marcite, fontanili la cui acqua cristallina fa da madre nutrice al bianco cereale. E poi gli aironi, gli anfibi, le martore e i caprioli, che come in un racconto fiabesco fanno da guardia alle coltivazioni. 

Alla perfezione, del riso e del suo habitat, mancano solo i folletti e le fate.


Riserva San Massimo 
Groppello Cairoli (PV)
@riservasanmassimo

venerdì 20 febbraio 2015

Sapori racchiusi in un (vero) forziere

Un locale a trazione anteriore, dove la passione e l’energia di Mario e Rita si miscela all’eleganza della location, unita alla professionale competenza enologica (di lui) e gastronomica (di lei).
Il tutto costruito all'interno e sopra un caveau di una istituto di credito dismesso.
La Banca dei Sapori è un’enoteca, è piccola ma raffinata cucina, è vendita di prodotti selezionati, è commercio di prodotti a marchio proprio (olio in primis!).
Il risotto ai porcini, quando è stagione è da lacrime agli occhi; quello con asparagi e capesante non è da meno. Così come il tortino di farro con profumo di arancio e gamberi croccanti. Poi due piatti di carne e due di pesce. E dessert raffinati.
Opere d'arte gastronomica offerte con discrezione e delicatezza. Se cercavate la banca, accontentatevi dei Sapori.

La Banca dei Sapori
Piazza Matteotti, 19
20010 Canegrate (MI)
telefono 0331403981
giorni chiusura: domenica e sabato a pranzo

martedì 30 dicembre 2014

Il buco con la meraviglia intorno

Il panettone deve essere questo: il vuoto degli alveoli pomposi, attorniati da pasta leggera, viva, invitante e burrosa.
Costellata da gemme che portano il calore e il dolce di lidi lontani.
La tradizione lo vuole a Natale, anche se è da pazzi e ingenui non consumarlo in altri periodi gastronomicamente meno densi.
E quindi? Ci siamo caduti anche quest'anno. Panettone della Pasticceria Marchesi il 25, quello di Migliavacca - segnalato da Visentin sul Corriere - a santo Stefano.


Il primo respira la storia che ha alle spalle, elegante e fine, un po' pallido ma equilibrato nelle sue componenti soffici-dolce-profumate.


Il secondo meno blasonato ma convincente. Nulla da invidiare a quello di Marchesi (che tra l'altro viene elaborato a Cuneo), anzi ha una marcia in più, forse due, per l'aspetto, le bellissime e variegate bolle d'aria incorniciate d'oro lievitato. Carattere e decisione senza eccedere in nulla. Sua Maestà Panettone.




Pasticceria Marchesi
via Santa Maria alla Porta 11
Milano


Pasticceria Migliavacca
via Aiaccio 13
Milano

giovedì 25 dicembre 2014

Che sapore ha il Natale?

Manca la neve, il sole tiepido allontana il tintinnio delle renne.
Quello che riporta la mente al Natale, oltre all'albero, alle luminarie psichedeliche e chilometri di carta da pacco multicolor, sono i profumi del desco agghindato per il pranzo più ricco e tradizionale dell'anno. Ecco il mio.

Cipolline borettante in agrodolce, insalata di scarola cotta, caponatina leggera, polpo e sedano in insalata, culatello, salame fatto in casa da un ipotetico contadino, crochette di patate, peperoni scottati all'olio.



Agnoli mantovani al brodo di cappone.


Vitello tonnato, cappone lesso con salsa verde.


Panettone (per la cronaca, di Marchesi, Milano)


Accompagnamento etilico: prosecco valdobbiadene, lagrein sudtirol, moscato d'Asti spumante.

Auguri!


sabato 22 novembre 2014

Di nome e di fatto: Armonie di Gusto (Cusano Milanino)

Come non amare un'osteria che trasloca la propria location e, in dieci giorni, riesce a proporre una rappresentazione di se stessa perfettamente oliata e intrigante? 
Bravi quelli di Armonie di Gusto, da Cusano Milanino ("città giardino" a quanto risulta dalla cartellonistica stradale) nel creare un luogo moderno che ha il fascino del meglio dei tempi passati. Ambiente raccolto e popolare, freschezza e semplicità del servizio, piatti pescati dalle pietre miliari della tradizione lombarda. 

Quindi: sorrisi e battute non mancano, la cassoeula è davvero lei, con tanto di cotenne dolci e "scioglievoli", verze integre e fiere, verzini mignon, costine dorate e languide; ottime alici di Cetara, caponatina che è una bomba, lardo ondeggiante, pane morbido e profumato, piatti di ceramica diversi l'un l'altro; sapiente carta dei vini, ottima se dimagrisse di qualche euro.

Nel retro, si entra in un cortile vecchiamilano, porticina verde a doppio battente. Et voilà, piccola enoteca/osteria dove farsi un goccio di vino buono per assaporare meglio i piaceri (o dimenticare i dispiaceri) della vita.
Una sorpresa Armoniosa, una scoperta di Gusto.

Armonie di Gusto
Viale Giacomo Matteotti 
Cusano Milanino MI
02 6640 9732


domenica 12 ottobre 2014

Cervelli non in fuga

Uno svincolo a ipsilon, noto come "trivio".
L'incubo dei viaggiatori, per la congestione di auto che si incrociavano e formavano (prima della nuova viabilità) code d'acciaio e copertoni. L'inizio della Valtellina è qui, a Fuentes.

Capannoni e centri commerciali che puntano il Lario, ad annunciare il confine sudoccidentale della conca tracciata dal fiume Adda.



D'improvviso, dai sogni di un visionario alquanto realista, compare in mezzo ai prati puntinati di mandrie bovine, un'aggregato di strutture di sasso e legno.

Una fattoria di gran tono, che coltiva e produce, caseifica e macella, che cucina e stupisce.
La Fiorida è una realtà unica, una grande cascina d'una volta che però è al passo con i tempi. Costumi tipici e accoglienza, un caseificio a vista, Bitto stravecchio, composta di mirtilli neri, yogurt, un centro benessere, due ristoranti. Uno (La Prèsef) è stellato.
Quando si parla dei cervelli in fuga, beh, ecco uno che fortunatamente è rimasto.

La Fiorida
Mantello (SO)
www.lafiorida.com/





sabato 11 ottobre 2014

La perfezione nel piccolo Tibet alpino

L'ingresso dello Chalet Mattias (fonte chaletmattias.com)
Al di là dei singoli elementi, non considerando l'ambiente raffinato, il contesto avvolgente, l'atmosfera magica del piccolo Tibet delle Alpi in una tiepida e poco frequentata serata di inizio ottobre, non addentrandosi in niente di tutto ciò, sul quale ci si potrebbe dilungare a ruota libera, si può tranquillamente sentenziare quanto segue.
Ieri è andata in scena la rappresentazione della cena perfetta.
Allo Chalet Mattias di Livigno.
Io, grazie al cielo, ero lì.

Hotel Ristorante Chalet Mathias
Via Canton 124
Livigno
www.chaletmattias.com






sabato 9 agosto 2014

Giuliano vs Spontini: the winner is...

Pizzeria da Giuliano, via Paolo Sarpi contro Pizzeria Spontini di via Marghera.
Milano, agosto, che caldo fa. Nonostante il clima non sia propizio, è difficile resistere alla tentazione di sgagnare avidamente i soffici triangoli formaggiosi delle due più note pizzerie al trancio della città.
Qual è la nostra preferita? Proviamo un confronto secco, all'americana.


Ambiente - piacevomente demodè in Paolo Sarpi; asettico e similospedaliero in via Marghera

Servizio - veloce ma umano, simpatico, schietto da Giuliano; incredibilmente veloce da Spontini, rischiando sindrome da fast food

Pizze - simili ma non identiche, gli impasti qualitativamente si possono quasi sovrapporre anche se (in base al nostro test dell'8 e il 9 agosto) quelli spontiniani sono impercettibilmente più soffici al centro e croccanti alla base; il pomodoro vede prevalere Giuliano, più sostanzioso e privo di sentori aciduli e dolciastri; sulla mozzarella la partita si chiude quasi in parità, ma dovendo assegnare il punto lo daremmo a Giuliano.

Conclusioni - Siamo di parte, lo ammettiamo, Giuliano è nel nostro cuore.  Nella sfida risulta vincente, seppur di un'incollatura.



martedì 24 giugno 2014

Antropologia sensoriale a Madignano

Si scrive trattoria, ma si legge museo moderno di antichità e particolarità alimentari cremasche.
Il padrone del vapore è lui, Bassano Vailati, oste meticoloso, gastronomo burbero, chef istrione. Cremasco doc. Proposte che affondano nella tradizione, come la gallina in insalata con cedro uvetta e balsamico, si scontrano in un abbraccio fraterno con elementi lontani nello spazio e nel tempo. Come i vini gerogiani, succhi d'uva prodotti in anfore che sono piombati direttamente da epoche ignote. E poi il pane di mistura senza sale, il gelato alla crema sbattuto al momento, i tortelli cremaschi che sono uno spettacolo.
Un inchino e un applauso.

Trattoria da Bassano
Via Lago Gerundo
Madignano (CR)

domenica 6 aprile 2014

Allegria e sapore siculo, a Milano, nell'enclave cinese

Gusto, gusto e ancora gusto. In questa trattoria (vera e verace, a parte il prezzo un po' sopra i canoni) c'è tanto calore, tanto sapore, tanta Sicilia.
E quindi frittatina con verdure o con gianchetti, caponata, peperoncini ripieni, melanzane con ricotta salata, involtini di melanzane ripieni di tonno. 
Segue succosissima e appagante la pasta alla norma, oltre a quella alla trapanese con aglio, melanzane fritte, mandorle e pomodorini freschi. E poi ancora tonno, pesce spada, melanzane in varie fogge. Per finire ancora tradizione, con cannolo, croccante, cassata e splendide scorze ricoperte di cioccolato.
Pochi fronzoli, tanta (ma davvero tanta) sostanza.


Ottimofiore.
Via Bramante 26
Milano (MI)

Tel: 02 33101224