Non posso usare giri di parole, né imbrogliare. Lo spunto del post ha origine da un pezzo di Marcello Veneziani di qualche anno fa ("Il Capodanno? È come la corazzata Potemkin"). Illuminante e denso, come spessissimo accade nei suoi scritti.
Sì, concordo. Forse è ora di piantarla di farci del male. Di riproporre con gli abiti nuovi un apericena riscaldato che già si fa durante tutto il corso dell'anno.
Penso anch'io che il balletto di mezzanotte, i botti, gli AEIOUY col meo amigo Charlie Brown, i frizzi e lazzi, i vini indegni che si riversano inermi sul pavimento, dopo aver provato ribrezzo per i bicchieri di plastica o i finti calici usa-e-getta, hanno fatto il loro tempo.
Le lenticchie riscaldate e i cotechini di gomma che ingolfano stomaci già provati dalle maratone natalizie lasciamoli per altri periodi, per il 27 gennaio o il 12 febbraio, o anche il 30 novembre. Per un giorno normale, per una di quelle tante cene che si improvvisano nelle nostre abitazioni. Magari per quelle a cui non teniamo nemmeno tanto, sai gli amici dei figli, la promozione maldigerita del collega, una suocera invadente.
Ma la notte in cui simbolicamente si ha il passaggio tra un anno e l'altro, tra il passato vissuto, certo e definito e il futuro con sogni stellari o squallide ma agognate necessità, non la incoroniamo con un brindisi targato spumantino. Basta con bolle grosse come cocacola, che sopravvalutiamo spacciandole per champagne nazional-popolare, anzi di più.
Pensiamo a ciò che si è fatto, a cosa si poteva fare, a cosa progettare per il domani che fra un anno passerà. Passeggiamo in un bosco, viaggiamo in una strada di campagna, saliamo a bordo di un tram deserto.
Troviamo un senso, anche senza petardi.
Diamo un significato, senza farcirlo di crema al marscarpone.
Ps Ora scappo, voglio evitare le code dell'ultimo minuto, non vorrei restare senza lenticchie di castelluccio e salmone affumicato... Bon domilaesèdes!
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